Quel giorno non avevano fiori di Marco Florio (Nulla die)

Recensione di Vincenzo Patierno

L’autore inizia il romanzo raccontandoci dell’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, giorno in cui la vita di ottantacinque persone fu spazzata via.

Intanto, un’altra vita veniva al mondo già orfana di padre, morto nello stesso ospedale dove la figlia stava nascendo, per la deflagrazione che quel giorno devastò la città bolognese.

Non ho vissuto gli anni di piombo e non avevo un’età per poterli ricordare nel pieno della loro drammaticità.
Forse, è anche il fatto che tendiamo a dimenticare in fretta il dolore che non appartiene al nostro “sangue”; alcuni, poi, ne restano del tutto indifferenti.

Questo romanzo, che mi ha coinvolto, ha fatto battere la lingua sul dente che duole, rinfrescando quelle domande che mi porto dentro da sempre.

Ci può essere politica e amministrazioni senza malaffare e senza mafia?

‒ vabbè che questo è un altro triste tema ‒  

Il malaffare potrebbe sopravvivere senza la partecipazione e la reggia della politica, dell’amministrazione e del “potere”: quanti tra queste file sono collusi?
L’Italia è uno dei paesi più corrotti e dove bivacca più il malaffare al mondo?

Quello che  mi fa prendere lo stomaco è l’inutilità, l’ipocrisia, il tanto per far bella figura, del dopo, quando assisti alle inutili sfilate del ministro di turno e così via, con le strette di mani, le pacche sulle spalle e le medaglie di latta, che hanno un sapore amaro per i cari delle vittime, nonché per la memoria dei caduti.

I “sopravvissuti”, a loro è dedicato il romanzo, sono condannati all’ergastolo del dolore: dalla lentezza della giustizia, dai depistaggi, dalle mezze verità, dalle condanne che non verranno mai applicate per latitanza dorata, dal perché non sempre si riesce a far luce sui fatti, né si individuano colpevoli o non si vogliono individuare, per non parlare dei mandanti.
Commemorazioni che poggiano su quale realtà? Mi chiedo.
Un sistema colluso e corrotto, nelle cui fila ci sono tutt’oggi i burattinai.

Pietà per innocenti di ogni età, sesso e religione che si sono trovati e che si trovavano in un luogo sbagliato, al momento sbagliato, in un giorno di ordinaria follia.

Federica, nata il 2 agosto, festeggia il suo compleanno il 2 settembre. Nel corso degli anni non ha mai risposte, dalla madre Alessandra e dalla nonna materna, su come fosse morto suo padre e sulla sua storia, fino al suo dodicesimo compleanno, quando scopre che in realtà è nata nel fatidico giorno di agosto.

Di molti episodi dell’infanzia, negli anni, avrebbe serbato lo stesso ricordo: la memoria di tante domande cadute nel vuoto, per un passato ingombrante che non bisognava interrogare.
Ma ormai crescendo, la storia della sua vita, per come le era stata e continuava ad esserle raccontata, non le stava più bene.

La ragazza un giorno si ritrova tra le mani un vecchio articolo di giornale che riporta del coinvolgimento di suo padre Giulio con il terrorismo e del suo arresto.
Allora inizia a puntare di più i piedi per avere quelle risposte che pensa le spettino di diritto.

Anche se le accuse a carico di suo padre Giulio decaddero, tutti erano diffidenti sulla sua estraneità.
Lui non provava neppure a convincere la moglie e il padre, che con quella storia non c’entrava niente. Fu tirato in mezzo perché si trovò a dover salvare la vita di un terrorista, fratello di Beatrice, la donna di cui si era invaghito senza essere corrisposto, se pur legato in matrimonio ad Alessandra, futura madre di sua figlia.

Sarà proprio Beatrice a riscattare la memoria di Giulio agli occhi di Federica, raccontandole i fatti.

È assurdo quanta gente sia morta in modo violento in Italia e continui a farlo, anche in tempo di pace…

Ad un tratto si ha la sensazione, insieme al racconto fatto da Federica della sua vita, che ci sia un volersi raccontare postumo di Giulio alla propria figlia. 

Ma lo scrittore, si sa, è un prestigiatore, sa cambiare le carte senza farci accorgere, più è bravo
e più ci fa credere che abbiamo intuito e quando siamo certi ci spiazza, ma solo quelli che davvero sanno maneggiare la penna, come Marco Florio, hanno tale abilità.

Vincenzo Patierno

Nato a Napoli, in quel del ‘66, iniziai a scrivere nell’adolescenza degli sketch che, nei campi scout, facevo rappresentare e rappresentavo, insieme a pensieri e poesie che iniziai a comporre dalla morte
di mia nonna. La scrittura e la poesia, che ho ripreso solo da qualche anno, sono il tramite che mi fa sentire libero e con cui mi esprimo meglio. Alcuni miei racconti e componimenti in versi sono pubblicati in varie antologie letterarie. Ho un romanzo chiuso in un cassetto. Nel 2014, ho pubblicato il mio libro di poesie “Abbraccio alla Vita”, Schena Editore.

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