Paura nella città dei rabbiosi di Alessandro Falanga (Pav)

di Salvatore Amato

Hanno gli occhi rossi e al loro passaggio lasciano una folle scia di distruzione e morte.

La città di Potenza è sotto assedio, sembra una zona di guerra, i sopravvissuti si dividono in piccole comunità; poiché si sa: l’unione fa la forza. Lo stadio offre un ottimo riparo, l’élite fa quello che vuole, riaffiorano i più truci aspetti umani, vige la legge del più forte. A volte ci si domanda chi siano i veri mostri in questo romanzo.

Alcune persone, come il protagonista Luca, preferiscono vagare che soffermarsi in una comunità. La loro vita in movimento offre anfetamina costante, pulsa la ghiandola pineale e rilascia melatonina per evitare l’infarto; si scappa per tetti, ci si nasconde, si attende, si sviluppano piani per istinto di conservazione, gli spiriti degli antichi briganti fuoriescono dai fossi: il piemontese se ne è andato via da un pezzo, oggi ci sono nuovi nemici, meglio evitare uno scontro corpo a corpo e un magazzino con scorte alimentari in barattolo vale quanto un sei al Superenalotto.

I rabbiosi di Falanga hanno un qualcosa degli zombie, ma hanno soprattutto caratteristiche originali e sembrano avere un senso della collettività maggiore dell’essere umano, ci si ritrova il determinismo scientifico di Kropotkin, più vicino al regno animale che alla nostra specie.

L’umanità messa in mostra dall’autore è spietatamente vera, arcigna e senza veli. Si palesa senza incisi o pensieri che deragliano dalla narrazione; è lì alla portata di tutti senza bisogno di veicolare la prosa per esternare in un factotum anche il pensiero critico.

Così, può capitare di incontrare una ragazzina marchiata come proprietà di qualcuno, talmente traumatizzata che non le riesce neanche di parlare, taciturna e impaurita, ma con delle qualità straordinarie.

E un nome tocca pur darglielo e se è vero che la speranza è l’ultima a morire, allora, tanto vale chiamarla Speranza.

E Luca si fa carico di Speranza, si ingegna per salvarle la vita e poi lei la salva a lui. La bambina diventa amica e compagna di viaggio, ci sono peripezie nascoste dietro a ogni angolo. Orde di rabbiosi, militari e delle femministe vittime di un fatale fraintendimento.

Alessandro Falanga sceglie lo scenario della sua città, un luogo che conosce bene e dove sa muoversi senza alcuna difficoltà. La narrazione è scattante, non perde tempo con considerazioni personali e repentina va dritta al sodo, come richiedono gli intenti di un opera Horror, ma al contempo ha un sottotesto ricco e folto che a buttarcisi dentro ci si catapulta in un micromondo assestante e, purtroppo, fin troppo reale.

Passano gli anni e tutto sembra un lontano ricordo, ma certe volte i ricordi ritornano, si materializzano e tutto ricomincia daccapo: basta un bacio.

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