Classe 1911: I sogni devono attendere di Martina Longhin (Brè)

Recensione di Eleonora Allegrini

“Andò con lo sguardo verso l’orizzonte: il cielo e la superfice del mare, solo poco prima spruzzati di un intenso color arancio, si erano schiariti e il paesaggio attorno a lui si era ormai vestito di giorno.” Chissà cosa pensava Luigi mentre ammirava l’alba serena che stava nascendo. Forse si godeva in silenzio quella contemplazione, o magari la mente correva ai suoi sogni, quelli di un giovane pieno di vita e che amava la vita.

Martina Longhin ci trasporta subito nei luoghi, nei suoni e nelle atmosfere di Classe 1911 – I sogni devono attendere e ci presenta immediatamente il personaggio principale dell’opera, Luigi; il tutto con una scrittura raffinata e scorrevole, abile e coinvolgente.

Siamo nel secondo decennio del ventennio fascista in Italia, precisamente in Veneto, nelle aree delle terre bonificate da Mussolini. Luigi è il secondogenito di una delle famiglie di contadini che lavorano quelle terre, ma la sua passione è la falegnameria e per apprendere l’arte, lavora da paron Piero come apprendista. Conduce una vita semplice, in quell’ambiente rurale ancorato a convenzioni e tradizioni ben salde, circondato da gente onesta e lavoratrice, tra sogni e difficoltà.

Il regime fascista era al potere da un decennio e l’Italia in quel periodo era cambiata, ma tale cambiamento non pareva volersi arrestare. Luigi lo comprese appieno, quando ricevette quella “cartolina”: l’Italia avrebbe invaso l’Etiopia e lui era stato chiamato alle armi.

Lo scenario cambia e ci conduce in Africa, tra le torture e gli atti disumani compiuti dalle brigate nere in terra etiope. La Longhin ci fornisce un quadro ben documentato della Guerra d’Etiopia, narrato attraverso gli occhi di chi quella guerra ha dovuto combatterla senza neanche saperne il motivo; ragazzi pieni di speranze che si ritrovano in un incubo, divisi tra disgusto, rassegnazione e disperazione, i cui unici conforti sono le lettere da casa e le albe e i tramonti dei mistici paesaggi africani.

La storia evolve, muta, attraversa quegli anni del Novecento italiano e l’autrice ce li racconta ripercorrendo la vita di Luigi e calando il lettore in quella realtà, con uno stile personale e interessante. Fa un uso sapiente, creativo e ben ricercato della lingua e gioca perfettamente anche con i dialetti per sottolineare il contesto storico e culturale, senza lasciare nulla al caso.

Insieme al protagonista, il lettore rivive una parte essenziale della storia d’Italia, si addentra nelle vicende più significative di quel periodo, immergendosi al contempo nelle vite dei cittadini inermi che non possono fare altro che assistere e accettare quanto accade, nella speranza che verranno tempi migliori… quelli in cui poter realizzare i sogni tanto attesi.

Le atmosfere di questo romanzo storico mi hanno rapita, le innumerevoli prove a cui la vita sottopone Luigi mi hanno emozionato e insieme al protagonista ho vissuto e provato la rabbia e la frustrazione, ma anche la gioia e la speranza. La penna di Martina Longhin ha saputo catapultarmi nella storia in maniera intensa, perché questo è uno di quei libri di cui divori le pagine per scoprire cosa sta per succedere, ma senza avidità così da poterti godere ogni singolo dettaglio di questa travolgente e commovente saga storica. Personalmente, ho apprezzato molto la lettura di quest’opera, dove ho ritrovato una prosa intensa e originale, un italiano fine e trascinante, alternato all’elogio dei dialetti, importante patrimonio della nostra splendida lingua e abile espediente narrativo per trascinare il lettore nella trama, creando un’empatia quasi immediata con Luigi, e Manlio, e Dante, e gli altri personaggi.

Cos’altro potrei aggiungere, se non che il romanzo della Longhin è un libro che merita di essere letto e che, a mio parere, rientra tra le perle letterarie nascoste degli ultimi anni.

Sperate, soffrite, arrabbiatevi, gioite e sorridete vivendo quest’avventura, anzi questa vita, e buona lettura!

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