di Claudia Simonelli
Nando Cherubini è un mediocre con una vita mediocre.
Sportellista nell’ufficio postale della sua città, vessato da un superiore da tutti ribattezzato Geronimo come il più feroce dei capi Apache, non riesce a difendersi di fronte a una strigliata fatta in pubblica piazza, in presenza dei colleghi. Ha un manoscritto parcheggiato nel cassetto da cinque anni, che non ritiene all’altezza di essere presentato a nessuna casa editrice. Vive da solo, mangia pasti precotti, va a trovare sua madre una volta a settimana.
Sua madre Martha è una donna anaffettiva e arida, ormai non ci sta più con la testa, ma questo non le impedisce di essere comunque gelida nei confronti dell’unico figlio che le è rimasto. Del resto della famiglia rimane ben poco, per un motivo o per l’altro.
Il povero Nando ha tre sole valvole di sfogo. La prima è rifugiarsi sulla “sua” panchina al parco, dove si parla e si risponde marzullianamente, con voce da ventriloquo, riuscendo a dirsi le cose più importanti, rivendicando la propria personalità, ormai scomparsa, appiattita di fronte all’ineluttabilità del lavoro, della vita familiare, della sua mancanza di carattere e di aspirazioni. La seconda è assumere l’identità di Simon Legère e scrivere storie rosa a puntate per “Stile donna”, dedicate a casalinghe disperate. Dulcis in fundo, la sua ultima passione sono i bei piedi femminili.
Incapace di decidere per sé stesso, sarà il destino a decidere per lui facendogli incontrare Rebecca, detta Rebbi, una ragazza giovanissima, strana, scapestrata e misteriosa; Rebbi potrebbe essere la figlia di Nando, ciononostante lo aiuterà a fare un percorso importante, alla ricerca dei suoi veri desideri. Grazie a lei arriveranno altri personaggi, che cambieranno la storia di Nando e di questo romanzo.
“La luna di traverso” si potrebbe considerare un romanzo di formazione se non avesse per protagonista un quarantenne il quale, al pari di un adolescente, evolve, capisce, cresce fino a trovare una nuova versione di sé, a comprendere cosa gli mancasse, cosa gli servisse davvero per essere più felice.
Fabio Tittarelli utilizza un linguaggio piacevole che non cade mai nell’esagerazione: la ricerca della parola è una missione e l’autore può considerarla compiuta. Lo stile è scorrevole e la storia, che a volte sembra intoppare in contraddizioni che potrebbero confondere, richiama il lettore ad andare avanti, e avanti ancora senza riuscire a staccarsi dalle pagine, alla ricerca della verità. Gli espedienti narrativi sono molto interessanti e, se anche vi trovaste confusi durante la lettura, vi consiglio di continuare: capirete.
Gli argomenti trattati sono attuali e interessanti: famiglia disfunzionale, paura del futuro, depressione, violenza. Tittarelli ce ne parla con delicatezza e grande rispetto, e un filo di ironia che non solo non guasta, ma riesce a rendere simpatico un protagonista che, in qualunque altro contesto, avrebbe innervosito il lettore. In questo caso non si può che simpatizzare per Nando e la sua sagace autoironia, che ce lo rende più vicino, più amico. Umano fino al paradosso.
Insomma, “La luna di traverso” è sicuramente una lettura che mi sento di consigliare a tutti.