di Salvatore Amato
“Frammenti”, “Percezioni” e “Prosa poetica dell’essere” sono tre volumi e, nel loro insieme, si presentano come una trilogia poetica.
Questa poesia non si presta a scandire concetti velati, né tantomeno all’interpretazione personale. In questa sede, tutto è chiaro e univoco, quello che Giovanni Battista ci vuole dire ce lo dice senza troppi giri di parole.
Del resto, la poesia non è l’elemento più abbondante, mentre abbonda una presa di coscienza collettiva che viene gettata in faccia al lettore come un secchio di acqua gelata; c’è un metodo più efficace per il dormiente che non si vuole svegliare?
Sicuramente, quest’opera è più accostabile a una trilogia di pensieri, concise riflessioni, aforismi e mottetti, con qualche verso poetico sparso qua e là, come delle salamandre maculate che prendono il sole, o il forato passaggio di un limacide su una foglia.
La cosa che colpisce della totalità della trilogia, come di ogni singolo libro che la compone, è la genuinità con cui i concetti vengono espressi.
Argenziano disadorna ogni verso, getta gli orpelli nell’indifferenziata, lo spoglia del superfluo e ce lo mostra nella sua natura più elementare possibile, così schietto e diretto da indispettire i menestrelli e essere compreso da tutti.
Una ricerca della semplicità che disarma il lettore, senza, tuttavia, cadere mai nel banale.
Il registro delle tre opere trova le proprie fondamenta in una battuta del giovanissimo Denzel Washington in Philadelphia (1993): «Me lo spieghi come se fossi un bambino di otto anni».
Ma l’autore è consapevole che da allora sono passati trent’anni, sa benissimo che in queste tre decadi la società si è inebetita, ha perso l’abitudine di prendersi del tempo per pensare, che l’uso smodato della tecnologia ha atrofizzato l’acume, e che il livello di comprensione di un testo sta con la spia rossa fissa.
Così, abbassa l’asticella dell’età e ce lo spiega come se di anni ne avessimo cinque.
Alla fine, chiunque potrebbe dirci: “Se vuoi vedere le stelle/guarda il cielo/non lo schermo”, come chiunque potrebbe arrivare a capirlo, ma a dircelo non è chiunque, ma bensì questo autore, e forse, se ci guardiamo attorno, neanche il fatto che tutti potrebbero arrivarci da soli è così scontato come appare.
Abbiamo bisogno di un dispositivo che ci accenda la luce e ci metta la nostra canzone preferita, di un apparecchio che ci indichi che strada percorrere, di un’intelligenza artificiale che scriva i libri che leggeremo e di un aggeggio che ce li legga, di un’applicazione per rimorchiare o trovare l’anima gemella, di un social network per illuderci di fare un po’ di vita sociale. Sapremmo vivere con una tecnologia ridimensionata? Siamo sicuri di saper fare ancora qualcosa da soli?
A volte, è proprio di semplicità che abbiamo bisogno per riscoprire quello che ci stiamo perdendo e che nessuno ci ridarà indietro.