Storia della fiaba, genere pedagogico. L’educazione estetica di Roberto Piumini: analisi del testo “Le tre pentole di Anghiari” di Alan Rossi (Helicon)

Recensione di Salvatore Amato
 
 
C’era una volta, e c’è ancora, una meravigliosa opera saggistica pedagogica che ci parla dell’antica tradizione della narrazione.

L’autore si fa segugio e segue le orme remote di quest’arte, per poi soffermarsi sulla fiaba, spiegandoci con un moto esaustivo e completo, e servendosi di una terminologia a portata di tutti, l’importanza del genere fiabesco nel settore pedagogico. Sono quasi convinto che Alan Rossi, essendo un maestro di scuola elementare, abbia studiato con cura la forma e la suddivisione del suo saggio. Avendo a che fare con la meravigliosa semplicità dei bimbi si riesce a non smarrire la propria di uomo adulto. Almeno questa è la mia deduzione dopo aver terminato la lettura. Alla fine di questo saggio ho compreso appieno il valore educazionale che possono avere le fiabe per gli uomini e le donne del futuro, perciò mi sembra doveroso complimentarmi con l’autore anche per le sue doti di precettore.
L’elevata fattura di questo saggio non è certo una questione che si può mettere in dubbio, a confermarlo sono i numerosi premi ottenuti dalla pubblicazione, tra cui può vantare i titoli di Miglior Saggio Pedagogico e Filosofico alla XVII edizione del Premio Letterario Internazionale “Lago Gerundo” e quello di Vincitore del premio speciale della giuria alla III edizione del Premio Letterario Nazionale Luigi D’Amico Parrozzo. Difatti, quest’opera, nonostante sia stata pubblicata da nemmeno un anno, già si mostra come un tassello fondamentale del genere saggistico pedagogico, aiutando lo stesso genere a prendere una fisionomia sempre più delineata e importante per l’educazione e lo sviluppo umano.
Rossi ci mostra fin dalla prima pagina il suo buon senso intellettuale, ponendosi lo scrupolo di contattare l’affermatissimo scrittore Roberto Piumini per conoscere il suo parere sull’analisi del suo testo “Le pentole di Anghiari” e l’autore famoso non snobba l’altro meno conosciuto, ma gli risponde e questo ci trasporta fin dall’inizio del saggio in una realtà fiabesca. La risposta positiva di Piumini si distacca dalla funzione originale e va a formare una brevissima prefazione che io, che sono una persona che odia le prefazioni e di solito le salta a piedi pari, ho invece apprezzato moltissimo, e non solo per la brevità, ma soprattutto per la genuinità di come è stata esposta.
I termini favola e fiaba trovano lo stesso comun denominatore nell’etimologia latina fabula: parola, conversazione, chiacchera; e questa forma di narrazione orale accompagna l’umanità da millenni, divenendo parte dell’uomo, perciò quale forma migliore per educare i più piccoli, non solo al mondo civico, etico e morale, ma anche ad addestrare il loro pensiero, ragionamento e fantasia, attraverso un linguaggio a loro più comprensibile e stimolante. Ho trovato in rete un ulteriore appoggio a questa mia tesi, dove in una scuola elementare un maestro ha fatto leggere agli alunni “Le pentole di Anghiari” e terminando la narrazione a metà, ha chiesto proprio ai bambini di scriverne il finale. La storia di Piumini è stata la miccia che ha innescato la fantasia e i bimbi si sono sbizzarriti con le conclusioni più fantasiose. Questi esperimenti ad Alan Rossi non servono di sicuro, lui dimostra, non solo grazie ai suoi studi, ma anche attraverso il suo saggio e all’analisi finale su “Le pentole di Anghiari” di sapere molto bene di cosa sta parlando. A me viene in mente una strana analogia con lo Yoga che è questa; se l’uomo adulto per arrivare ad aprire il sesto e il settimo chakra, quello della corona, ha bisogno della meditazione, il bambino ha bisogno delle fiabe.
Ma le favole sono unicamente uno strumento educativo per i più piccini? L’additare le fiabe come lettura adatta esclusivamente a un pubblico più giovane è sbagliato e questa mia teoria trova conferma nella Storia della fiaba, genere pedagogico. Infatti, se la stessa fiaba fosse letta dalla medesima persona, prima nell’infanzia e successivamente nell’età adulta, questa persona troverebbe sicuramente significati diversi nel testo e assimilerebbe sfaccettature che precedentemente gli erano sfuggite. Per esempio, circa due anni fa ho riletto Alice nel paese delle meraviglie di Carroll, che nonostante sia uno dei migliori esempi del genere letterario nonsenso, analizzandolo ho trovato una profonda denuncia sociale della società vittoriana. Ripercorrendo la storia della fiaba con il saggio di Rossi si può valutare il concepimento, l’effetto e l’evoluzione del genere durante le varie epoche storiche. Difatti, la favola non nasce per un pubblico giovane, ma poi, grazie alle sue profonde proprietà educative ci diventa. Ma se nel mondo fiabesco una cosa o è bianca o è nera, nella realtà abbiamo anche altre tonalità che ci dovrebbero far comprendere che la fiaba è una lettura adatta a tutte le età.
La storia ci insegna che l’abilità di riuscire a pensare con la propria testa è l’antagonista per antonomasia di chi con l’ignoranza ci vorrebbe più addomesticabili. Una storia triste che va ripetendosi in un loop che lucra sull’ignoranza, se ai giorni nostri le librerie vengono date alle fiamme e i libri nei punti di Crossbooking vengono strappati, durante il ventennio fascista venivano censurati e l’ideale politico era veicolato dal messaggio pedagogico. Allora, è nostro dovere coltivare le menti degli uomini del domani con le fonti limpide delle fiabe, affinché si possa ancora sperare in un mondo migliore, attendere un lieto fine e vivere tutti felici e contenti.

2 pensieri riguardo “Storia della fiaba, genere pedagogico. L’educazione estetica di Roberto Piumini: analisi del testo “Le tre pentole di Anghiari” di Alan Rossi (Helicon)”

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