Recensione di Vincenzo Patierno
Ci sono storie nascoste negli uomini che noi ignoriamo, ma che li hanno segnati in un modo o nell’altro.
Leggendo mi è parsa una di quelle: una storia vera, o meglio, due storie raccontate da due protagonisti che hanno realmente vissuto quello che è racchiuso tra queste pagine, così tramite quell’inchiostro nero, indelebile, che scorre inesorabile, senza che si abbia voglia di chiudere il libro, si ha la sensazione di ascoltare e percepire Lorenzo e Marialaura.
Ognuno è la propria storia, storia che noi non dobbiamo giudicare, semplicemente perché non è la nostra, non sappiamo come avremmo agito se fossimo stati o fossimo nei loro panni, possiamo solo sapere come abbiamo agito o come agiamo nella nostra di storia, ma non sappiamo giudicare; almeno apertamente.
Lorenzo ritorna dopo tempo alla casa paterna nella provincia milanese e al capezzale del padre defunto ha la sensazione, che quell’abitazione non sarà più la stessa e forse si riferisce anche alla sua vita.
Tra quelle mura è accolto, mentre le spoglie del genitore giacciono supine sul letto.
Con sguardo di disprezzo, giudicatore del suo passato, Lorenzo pensa: la città, dopo che a vent’anni l’ho abbandonata fiero e burrascoso, si è chiusa a riccio per espellermi e dimenticarmi; durante gli anni di clandestinità intrapresi una relazione con Carla, una simpatizzante della causa, per me più che altro un fattore di sesso; non volevo impegnarmi, non potevo dato il mio status, così troncai quando seppi che aspettava un figlio, che ora mi manca come mi manca lei, ma forse è soltanto perché ora son vecchio e solo.
Ai rimorsi si mescolano, come lame acuminate, i rimpianti.
Lorenzo ha trascorso in carcere buona parte della sua vita per aver assassinato un carabiniere durante una fuga; dalla scarcerazione vive a Roma e lavora in una tipografia e un’associazione religiosa gli chiede, tramite il suo avvocato, un incontro con la vedova e i figli del maresciallo Livati; i parenti sono interessati a incontrarlo, sulle prime si ostina a rifiutare, ma poi accetta, se pur di malavoglia.
La vedova e la figlia sono propense al perdono, perdono che per la moglie sembra liberatorio, al contrario del figlio che non è predisposto, come non crede al pentimento di Lorenzo e questo nei giorni a seguire glielo dirà e farà capire.
Nel succedersi di storie vissute, ci si imbatte in quella di Marialaura, una delle figlie di Pietro, un uomo ammalato e costretto a cure e terapia oncologica.
La malattia non stravolge psicologicamente, oltre che fisicamente, soltanto chi ne è colpito ma anche chi gli è accanto.
Lorenzo e Marialaura sono vite distanti, come sono distanti le città dove vivono: lui vuole rivedere il suo passato, mentre lei lo deve rivedere suo malgrado, anche se è un vissuto anteriore che la riguarda di riflesso, di conseguenza degli eventi.
Una sera s’incroceranno su una banchina di una stazione, entrambi a rincorrere giorni lontani, propensi a ricucirli, forse si racconteranno l’uno all’altro.
Tre padri a confronto: Lorenzo, che quando ha saputo di essere padre non si è sentito di essere genitore, suo padre che è stato un genitore che non gli ha fatto mai pesare i suoi trascorsi, colpevolizzando se stesso per le gesta del figlio e poi c’è Pietro, che si è sentito d’essere padre, genitore a prescindere.
Un compagno di militanza, Luigi, dice a Lorenzo, in un loro incontro dopo tantissimi anni, che chi non è stato in qualche modo “dentro” al terrorismo non può avere una dimensione umana di quel contesto e quel pensiero: ebbene questo mi sarebbe piaciuto che Luigi me lo avesse spiegato.
Costoro miravano alla stabilizzazione del sistema politico italiano, condizionando la democrazia: allora un movimento contro la libertà, una linea criminale che con la paura pretendeva il bene placido di un popolo, un popolo tutt’altro che propenso alla rivoluzione, un po’ “pecorone”, infervorato da quella politica e da quel potere socio/amministrativo “estremo”?
Anche se all’inizio avevo detto che non dobbiamo giudicare, devo pur sempre considerare che le azioni restano, noi siamo fatti di emozioni e sentimenti e quando sono offesi è snaturale il perdono, essendo umano e non divino: se qualcuno mi fa del male e poi se ne viene, dopo qualche tempo, che essendo cambiato, divenuto la beatificazione e santificazione in persona, vorrebbe chiedermi perdono, io non lo accetto e glielo nego; ci sono dolori che non hanno cicatrizzazione.
Vincenzo Patierno
Nato a Napoli, in quel del ‘66, iniziai a scrivere nell’adolescenza degli sketch che, nei campi scout, facevo rappresentare e rappresentavo, insieme a pensieri e poesie che iniziai a comporre dalla morte di mia nonna. La scrittura e la poesia, che ho ripreso solo da qualche anno, sono il tramite che mi fa sentire libero e con cui mi esprimo meglio. Alcuni miei racconti e componimenti in versi sono pubblicati in varie antologie letterarie. Ho un romanzo chiuso in un cassetto. Nel 2014, ho pubblicato il mio libro di poesie “Abbraccio alla Vita”, Schena Editore.
grazie, un bel romanzo, ben scritto e narrato, appassionante
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