Uomo penombra di Fabio Tittarelli (New-Book)

Recensione di Salvatore Amato

Luca Morandini potrebbe permettersi un difensore come Taormina o il “Dream team” che salvò OJ Simpson, forse Cochran si sarebbe rifiutato, comunque, lui preferisce affidarsi a un avvocato di sfiducia.

Del perché si trova in quella situazione complicata e anche in cosa consiste si scopre pian piano durante la lettura, tramite una narrazione che si lancia in flashback vertiginosi e reminiscenze che ne hanno influenzato il carattere passivo e il modo di affrontare la vita: vanesio e infantile.

Un montaggio narrativo ingarbugliato, a tratti sembra di trovarsi dentro la pellicola di Memento, e quando Luca ci sta dicendo qualcosa che potrebbe servirci per ricomporre il mosaico, ecco che finisce il capitolo e in quello successivo parla già di tutt’altro, ma chi avrà la pazienza di andare fin in fondo non avrà problemi a sciogliere la matassa e visualizzare il quadro nella sua totalità.

Luca dovrà toccare il fondo e scavare con le unghie fino a consumarle e farle sanguinare per riemergere dalla penombra da cui è avvolto e potersi finalmente illuminare.

L’autore affida il compito narrativo al suo personaggio principale, che non è un tipo che ama i giri di parole e nemmeno vuole ammorbare il lettore con prolisse e inutili considerazioni personali, ma è diretto, lineare e conciso: personalmente l’ho apprezzato.

Le cuffie nelle orecchie in palestra anche per non sentire e non dover comunicare con gli altri, Luca è convinto di bastarsi da solo, le sue convinzioni saturano il raziocinio e si tramutano in verità assolute, almeno nella sua testa ottusa, oltre a se stesso c’è solo la musica classica, la montagna e l’amata solitudine di una vita che scorre placida, e della quale raramente prende il timone.

Corinna è tanto premurosa e innamorata, ma lui è distante anche da se stesso, un vuoto a perdere ostinato e veicolato dalle proprie soverchie convinzioni e insicurezze, che comprende quanto sia sottile il velo solo grazie all’oboe di Gabriel.

Stefano l’amico, il dottor Tshebo Takande, Corinna, Martina, Ulisse, Marocco il dipendente del padre che l’ha molestato, Nico Battaglia, Cotroneo l’avvocato/terapeuta/amministratore di beni, sono tutti personaggi che si mescolano insieme nel calderone mentre ci narra la sua storia, ormai in balia del proprio destino che punta dritto alle patrie galere e che non ha nessuna intenzione di cambiare rotta, poiché c’è una speranza salvifica che solo attraverso il declino si può ritrovare la luce e uscire dallo stato di perenne penombra.

Anche un temperino può essere un’arma bianca e la brutalità di un gesto insensato può avere l’unico movente di voler dare alla propria esistenza una diversa direzione: sono sedici coltellate e non serve un pallottoliere per contarle, ma un medico che ti salvi la vita.

Una scrittura frizzante, un personaggio lievemente presuntuoso e fastidioso, che a sprazzi rievoca il Vitangelo Moscarda di Pirandello, anche lui odia il padre, ma non si lamenta del fatto che grazie a ciò che ha ereditato da lui può permettersi una vita agiata e al contempo di schifare il lavoro.

Consigliatissimo a chi cerca una lettura scorrevole, avvincente e allo stesso tempo per nulla pesante, l’uomo penombra di Tittarelli è un’opera che si fa leggere molto volentieri.

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