La borsa di Solène Bakowski traduzione di Rosalba Sabatini (Le Assassine)

di Lidia Laudenzi

“Mi chiamo Anna-Marie Caravelle e sono nata un po’ più di ventiquattro anni fa. Ho passato la notte a scrivere questa confessione, per terra, di fronte al Pantheon. Non nego niente, non invento niente, non ho la scienza infusa, e le mie parole non sono Vangelo. Ho i miei torti e i miei vizi. Ho fatto degli errori, a volte ho giudicato male e mi sono spesso fatta trasportare dalla rabbia. Volevo solo essere felice. Non volevo essere una casualità”.

In ginocchio davanti al Pantheon di Parigi e con accanto la borsa verde Anna-Marie Caravelle racconta la sua vita infelice, senza amore, piena di follia.

È la storia di una bambina non voluta dalla madre, che rimasta vedova troppo presto le trasmette, già nella pancia, un’immensa tristezza. Una madre che l’abbandona mentre è in vita e che invece la perseguiterà da morta. Anna-Marie Caravelle crescerà con Madame Bonneuil, che si occuperà di lei come la figlia che non ha mai avuto, ma che Anna-Marie Caravelle ripagherà con l’uccisione.

È così che trova la libertà da quella casa dove in realtà M.me Bonneuil la teneva in gabbia.

Nella sua nuova vita per strada Anna-Marie Caravelle incontra Camille, con cui instaura un’intesa intellettuale e soprattutto un’amicizia forte al confine con l’amore. Ma amore non è: accecata dalla gelosia si sbarazzerà anche di lui.

Anna-Marie Caravelle insegue in ogni modo la sua felicità, ma nello stesso tempo è inseguita dai suoi demoni, in un circolo dei più viziosi e assassini.

La narrazione è in prima persona, quasi un flusso di coscienza, anzi emozionale. Tutto – i personaggi, i luoghi, gli ambienti, gli eventi – sono descritti, anzi sviscerati, alla luce delle emozioni.

Mi sarei aspettata una lingua più ‘sporca’, con un uso di parole sboccate, forti, grige, invece l’autrice usa un vocabolario scelto con cura per descrivere il dettaglio e per non rendere macabro e nero un racconto che in realtà lo è. Probabilmente è proprio il mezzo dell’autrice per rendere la metafora di ciò che sembra ma non è. E la stessa traduttrice è riuscita a trasmetterlo.

Accanto alla narrazione principale, una voce di sottofondo, un altro carattere, un’altra persona parla di Anna-Marie Caravelle: il racconto diventa in terza persona. Non è più la protagonista e si parla di lei come una borsa. Come ad una borsa, simbolo di sé e della vita in generale. Una borsa piena:

“Questa borsa, questa maledetta borsa non immagina nemmeno il vuoto che lascia. Svuota la donna come una volta l’aveva colmata. L’amore che contiene è immenso; la sua perdita è abissale. Lei legge la frase che le sta di fronte, ancora e ancora: Ai grandi uomini la patria riconoscente. Si chiede che cos’è la grandezza. Si domanda se è concreta, riconoscibile, misurabile, se si nasce grandi o lo si diventa. S’interroga se il martirio può procurare grandezza, se chi non realizzerà mai niente per mancanza di tempo, di fortuna o di occasioni vale meno degli altri. Vorrebbe sapere chi, tra il monumento gigantesco e l’uomo minuscolo, dona un po’ d’eternità”.

Questa voce sembra confondere il racconto, e invece ci spiega, ci narra un’altra versione: perché le cose, gli eventi, le persone, la vita tutta non sono mai come si presentano veramente. La Bakowski mostra un’altra faccia, un’altra realtà non meno vera, non meno folle.  

La follia è l’immagine meglio rappresentata in tutta la narrazione, follia come una momentanea sospensione dalla realtà, quella che non ci piace e che ci porta a considerare la vita come una borsa da riempire in continuazione. E poi accorgersi che, invece, la svuotiamo proprio nel tentativo, folle, di riempirla.

È questo che provoca la mancanza d’amore e la ricerca spasmodica della felicità?                                                                               

È questa la gabbia che costruiscono le emozioni, quando troppe, violente, sconosciute ed inespresse?

Questi sono gli interrogativi che questa storia – ricca di dettagli, di eventi, di narrazioni – lascia irrisolti e misteriosi.

Lidia Laudenzi

Nata nel ‘78 in provincia di Roma, vive e lavora nella Capitale. È una bibliotecaria appassionata di storie da leggere, scrivere e fotografare. Dal 2016 collabora con la rivista Photosophia. Nel 2019 ha pubblicato il suo primo racconto nell’antologia Una risata vi salverà (Terebinto) e una selezione delle sue fotografie nella collana Immagini e parole (n. 60, Pagine). I suoi racconti e le sue poesie sono state pubblicate in varie antologie.

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